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Chiesa della S.S. Trinità

Pietra romana rinvenuta nell' altare in muratura utilizzata per il nuovo altare secondo le recenti disposizioni liturgiche. Si può notare la croce ancora tinta di rosso, scalpellinata sulla pietra in modo che risulti in rilievo. Tornando all' epoca romana in Umbria ecco come wikipedia liquida la questione: le rivalità tra Umbri ed Etruschi contribuì a favorire la politica espansionistica di Roma, che, dopo aver occupato Narni nel 299 a.C. si impossessò dell'intera regione a seguito della vittoriosa Battaglia del Sentino (295 a.C.). Nello scontro la città latina si impose su una coalizione di Sanniti, Umbri, Galli ed Etruschi. Gli Umbri divennero da allora fedeli alleati dei Romani, richiesti come soldati scelti e, secondo la tradizione, vero e proprio nerbo di molte legioni romane. Furono istituite colonie romane a Senigallia (Sena Gallica, 283 a.C.), Rimini (Ariminum, 268 a.C.), Spoleto (Spoletium 241 a.C.) e furono realizzate importanti opere pubbliche come la via Flaminia (220 a.C.) tra Roma e Rimini. Durante la seconda guerra punica e l'invasione di Annibale vennero combattute in territorio umbro la battaglia del Lago Trasimeno (217 a.C.), presso l'attuale Tuoro sul Trasimeno e la battaglia di Plestia (presso l'attuale Colfiorito, non lontano da Foligno). Nel 90 a.C. vennero concessi agli Umbri gli stessi diritti amministrativi e civili dei Romani, ossia lo status di cives romani. Durante la guerra civile scoppiata fra Marco Antonio e Ottaviano, Perugia divenne l'ultima roccaforte dei seguaci di Marco Antonio: assediata, capitolò e fu distrutta nel 40 a.C. e solo più tardi venne ricostruita per ordine dello stesso imperatore Augusto. Lo stesso imperatore Augusto, nella suddivisione amministrativa dell'Italia, creò una regione Umbria, la Regio VI Umbria, che però non corrispondeva all'attuale: infatti non ne facevano parte le città poste sulla riva destra del Tevere, come Perugia e Orvieto, integrate nell'Etruria (VII regione), mentre vi erano inclusi territori non rientranti nell'Umbria odierna, come le zone più settentrionali, comprese tra Senigallia a Rimini (Ager Gallicus) e incardinate sulla via Flaminia. Durante le invasioni barbariche che colpirono l'Impero romano d'Occidente nel V secolo, l'Umbria fu teatro di sanguinosi scontri, carestie e degrado economico; le uniche autorità che tentarono di arginare la drammatica situazione che si era venuta a creare furono quelle ecclesiastiche che si erano andate affermando nel territorio fin dalla seconda metà del secolo precedente.

Chiesa San Benedetto

La rivista Medioevo specializzata nel settore é la più autorevole a livello nazionale per quanto riguarda l'età di mezzo. Nel numero di Settembre 2017 c'è uno speciale sui giochi delle porte di Gualdo, ma non solo, la rivista parla tantissimo della storia locale, ecco ad esempio come rielabora il mito della chiesa nuova di San Benedetto: edificata nella seconda metà del XIII secolo insieme all' annessa abbazia camaldolese, la basilica cattedrale di S. Benedetto, domina la piazza maggiore di Gualdo Tadino. Quasi la chiude sul lato orientale, con la sua facciata romanico-gotica, il grande rosono scolpito e il campanile neo romanico. Il duoco é chiamato anche San Benedetto Nuovo per distinguerlo da un' altgra costruzione San Benedetto Vecchio. Il più antico insediamento benedettino di Gualdo risale infatti agli inizi del X secolo: si trattava di un modesto cenobio intitolato ai Santi Nicolò e Vito, ubicato presso il fiume Feo, nella piana sottostante l'attuale centro abitato. L'insediamento fu voluto dalla famiglia feudataria dei conti di Nocera. Nel 1006 il conte Offredo di Monaldo II acconsentendo pare al desiderio di San Romualdo, fondatore dell' ordine Camaldolese, eresse un nuovo e più grande monastero, intitolato a San Benedetto e la nuova struttura grazie alla generosità del conte ebbe un patrimonio fondiario e l'appoggio delkle potenti politiche locali che ne favorirono la crescita. Nel corso del XI secolo divenne protagonista della vita religiosa ed economica del territorio di Gualdo. Nel giro di pochi decenni attraverso donazioni e acquisti. la forza economica della comunità religiosa si fece immensa e vari privilegi pontifici ne confermarono le pertinenze e i diritti, tra cui quello di essere direttamente soggetto alla Sede Apostolica. Nel XII secolo il monastero aderì alla riforma bene3dettina camaldolese. Qualche sintomo di difficoltà si palesò negli ultimi anni del XIII. Nel 1198 Innocenzo III acconsentì alla richiesta dei monaci di trasferirsi in un luogo più sicuro e l'anno successivo incaricò il vescovo di Nocera Ugo Trinci di visitare e riformare l'abbazia. All' inizio del 200, forti della concessione pontificia, i monaci si trasferirono entro le mura di Gualdo dove furono edificati la chiesa e il monastero detti di San Benedetto Nuovo. La sede originaria abbandonata acquisì la denominazione di San Benedetto Vecchio. Tra i monaci illustri della nuova sede va ricordato il beato Angelo da Gualdo Tadino, nato nella villa di Casale nel 1270 ed entrato giovanissimo in monastero dopo un pellegrinaggio a Santiago de Campostela. Angelo condusse vita vita eremitica in una cella isolata e morì in ottobre di santità il 15 gennaio 1324, il suo corpo fu collocato sotto l'altare della chiesa abbaziale, presso il quale si sviluppò un intenso culto. Nel primo quattrocento il monastero entrò in una crisi lenta e irreversibile e cominciò a paventarsi il passaggio al regime commendatario. Vi si oppose con forza l'ultimo abate, il gualdese Giovanni Matteo Bongrazi. Alla sua morte nel 1485, Innocenzo VIII procedette però alla trasformazione del monastero in commenda, che assegnò al cardinale Giovanni Battista Savelli, legato pontificio di Perugia e dell' Umbria. La piccola famiglia monastica superstite continuò a risiedere in S Bendetto ma senza accogliere nuovi monaci. L'ultimo religioso morì nel 1518. Perduto il monastero i gualdesi cercarono di ottenere per S Benedetto una nuova dignità ecclesiastica e nel 1530, approfittando della visita a Gualdo di Clemente VII richiesero, invano, la sua erezione in collegiata. La richiesta fu più volte reiterata fino a che nel 1818 monsignor Francesco Piervissani, vescovo di Nocera Umbra e abate commendatario, ottenne da PIO VII l'abolizione della commenda e l'accorpamento dei benefici di S Benedetto alla mensa episcopale di Nocera Umbra. A ciò si opposero i gualdesi che nel 1847 conseguirono da Pio IX il distacco del monastero dalla mensa vescovile e la sua erezione in collegiata con capitolo di 8 canonici e dignità arcidiaconale. Il collegio canonicale fu formalmente costituito nel 1848, alla morte del vescovo Piervissani. Tra il XIX e il XX secolo la chiesa fu ristrutturata e riccamente decorata grazie alla liberalità di monsignor Roberto Calai Marioni, gualdese e vescovo titolare di Esbon. Il 2 gennaio 1915 Benedetto XV assegnò alla diocesi di Nocera Umbra la nuova denominazione "di diocesi di Nocera Umbra e Gualdo Tadino" ed elevò la chiesa collegiata di S Benedetto a cattedrale honoris causa tantum. Nel 1989, infine, Giovanni Paolo II per i 1500 anni della nascita di Benedetto da Norcia, le conferì il titolo di basilica minore - Andrea Maiarelli

Chiesa di San Francesco

La chiesa di San Francesco è una delle prime chiese francescane in Umbria dedicata al santo ed è stata costruita poco dopo la canonizzazione di San Francesco di Assisi. Tutte le chiese francescane sul territorio umbro (Gubbio, Montone, Montefalco) hanno caratteristiche architettoniche mollo simili. La chiesa ha un’unica navata, quindi la pianta rispecchia precisamente la Basilica superiore di San Francesco d’Assisi, ma è molto più semplice ed austera perché questa zona è fortemente sismica, fredda e umida e le pitture parietali hanno delle difficoltà di conservazione relative al luogo. La facciata della chiesa non si apre sulla piazza principale e questo ci indica l’antichità, la piazza fu costruita molti secoli più tardi. L’abside è poligonale ed è illuminato da tre bifore. La quarta bifora è oggi chiusa perché nel 1751, a causa di un terremoto, il campanile crollò e per lo smottamento del terreno, venne poi ricostruito proprio all’altezza della finestra. Come si può vedere dal modellino in legno della chiesa prima del 1751, il possedimento dei francescani era più grande. Ulteriore illuminazione viene dall’oculo sopra la porta, non ha caratteristiche particolari, proprio perché l’ordine francescano voleva comunque mantenere austerità nelle linee e nelle decorazioni. Nonostante il periodo storico e le influenze del gotico d’Oltralpe, le architetture francescane rimangono molto semplici, legate al romanico italico. Molto particolare è la mensa in pietra rossa costruita con materiale di rimpiego. come anche i pulpiti. Il portone ed il confessionale risalgono al “700; il portale in legno è stato attaccato alla parete coprendo anche pane degli affreschi presenti. Sempre con gli autori del funzionale sito i luoghi del silenzio approfondiamo i temi legati agli affreschi in questa chiesa. Nella chiesa di San Francesco non esiste un vero e proprio ciclo di affreschi, questo perché gli eventi sismici hanno nel tempo rovinato molte pitture e soprattutto questa chiesa viveva di donazioni e cioè erano i privati benestanti, che avevano un ruolo importante nella città, a fare una donazione in denaro e a richiedere un affresco in cui erano anche rappresentati. Per questo motivo si trovano tanti stili pittorici. Le informazioni relative alle pitture derivano da diverse fonti, ma in realtà per i territori di Gualdo Tadino e Nocera Umbra non si hanno notizie scritte sulle chiese fino al 1550 perché tutti i documenti della diocesi di Nocera Umbra sono andati perse. Entrando nella chiesa a sinistra in alto troviamo una delle opere di Matteo da Gualdo: la Madonna in trono con il bambino tra San Francesco e San Secondo. Restaurata dopo il sisma del 1997 ha delle caratteristiche molto particolari perché rappresenta quelle che era la ricerca rinascimentale di Matteo, soprattutto per i colori. Matteo fu un grande maestro di colore, ricercava le particolarità cromatiche e questo lo si può notare grazie ai colori che ci restituiscono i restauri. La figura più piccola in basso è la rappresentazione del committente che chiede una grazia; la sua dimensiona è dovuta alla gerarchia delle immagini. A fianco c’è San Francesco che riceve le stigmate un opera di Matteo da Gualdo molto bella per la realizzazione dei panneggi e la ricerca paesaggistica. Sotto infatti troviamo un affresco con lo stesso soggetto iconografico di un pittore giottesco assai precedente dove possiamo notare la diversa ricerca dei volumi dei corpi e del paesaggio. Quest’ultimo uno degli affreschi più antichi della chiesa, ha delle particolari linee molto bizantineggianti, che difficilmente si vedono in Umbria (sono maggiormente caratteristiche dell’Emilia Romagna e nord delle Marche), troviamo dei visi allungati e scuri e le così dette “mani a rastrello”, inoltre, come accadeva nelle zone senesi, l’abito del committente mostra dei simboli del casato di appartenenza. All’angolo troviamo la parete degli ex – voto, commissionata da persone che avevano ricevuto la grazia e dedicata ogni volta al santo che aveva fatto la grazia, vista la zona ricorrono spesso San Benedetto e San Bernardino. Sopra c’è il Volto sacro di Lucca; nel Duomo di Lucca vi è un piccolo ostensorio della fine del 4400 fatto di ottone e vetro.

chiesa S M Arcangelo

Una ex maestà convertita in chiesa con affreschi bellissimi, pressoché sconosciuta. La chiesa di San Michele Arcangelo sorge su un panoramico piccolo pianoro a mezza costa sul Colle Cervaia e domina il sottostante abitato della frazione di Colsantangelo e la vallata che si estende da Salmata a Rigali. All’epoca del rilevamento del catasto piano (1820 ca.) aveva una dimensione molto maggiore di quella attuale, come è documentato da una vecchia mappa e dai resti delle fondamenta dei muri perimetrali. Più difficile stabilire le origini: il muretto a semicerchio che funge da sedile nel coro, parzialmente inglobato nella struttura portante dell’abside, le tombe scoperte sulla sinistra della chiesetta, identiche a quelle del Sasso, l’orientamento est-ovest, sia della chiesa sia delle tombe, le “pietre romane” nella parte più vecchia della costruzione, fanno pensare ad una primitiva fabbrica pagana (tempietto) dalla quale nel corso dei secoli, attraverso successivi ampliamenti e rifacimenti, si è giunti all’attuale struttura. La chiesa di S. Angelo, riduzione popolare del nome S. Michele Arcangelo, rimanda ad una fondazione legata alla cultura dei Longobardi di cui l’arcangelo era protettore. Nell’attuale località di Colsantangelo la chiesa e il suo titolare hanno dato il nome al paese stesso. Nell’antichità veniva chiamata “Ecclesia sancti Angeli de Gayfana” come risulta nelle Rationes Decimarum degli anni 1333-1334, che sono i documenti più antichi oggi consultabili relativi alla chiesa, dove ai numeri 3993, 4199, 4261, 4466, appare pagante la decima papale con il nome sopraddetto. In seguito alla fondazione del castello di Boschetto (anno 1305) S. Angelo, Balìa del comune di Nocera, perse importanza e la Parrocchia fu unita a Boschetto. Nelle visite pastorali dei vescovi di Nocera, è ancora riconosciuta come parrocchiale, possiede il Fonte Battesimale, in essa si conservano l’Eucarestia e gli Oli Santi. II nome non è più S. Angelo di Gaifana, ma S. Angelo “de Castro Boschetto” e più comunemente “S. Angelo della Balìa di S.Angelo“. La visita apostolica del 1573 dice : “ fabrica, paramentis,ornamentis,ceterisque pro divino officio requisit, tolerabilis est reperta ( A.D.N.G. Visite pastorali, palch. V. 3 cart. 15u )”. Così nei secoli XVI-XVII, confermano gli altri vescovi visitatori, rilevando via via interventi da fare per mantenerla in buono stato. A riguardo, poi, dell’anno, non noto, in cui la parrocchia di S. Angelo fu unita a quella di Boschetto, riportiamo due brani tratti da opere storiche abbastanza recenti, da essi emerge che chiesa S. Angelo non perse mai il titolo e la prerogativa di chiesa parrocchiale. Dice il Guerrieri a riguardo della Chiesa di San Nicolò nel villaggio Boschetto: “La Chiesa attuale… non può essere posteriore al XV secolo ma della stessa non abbiamo notizie, prima della metà del Cinquecento“. In tale epoca, era già sede di Parrocchia, unita però alla prossima Chiesa Parrocchiale di S. Angelo nel territorio di Nocera. Le due Chiese avevano un unico Rettore, che…” celebrava di Domenica alternativamente nelle due Chiese; negli altri giorni festivi, o nell’una o nell’altra a suo piacimento“. In un’altra perspicace ricerca storica, ancor più attuale, che non manca di sottolineare l’importanza del fonte battesimale, si legge:” Un’altra importante parrocchia… era quella di Boschetto che possedeva l’unico fonte battesimale di tutta la zona… Nel 1635 il parroco di Boschetto, don Giovanni Maria Loppario, inaugurò un nuovo registro dei battesimi sul frontespizio del quale annotò che si trattava del secondo libro della nuova parrocchia nata dalla fusione delle due chiese di S. Angelo e di S. Nicola“. E’ verosimile, quindi, datare la fusione delle parrocchie di S. Angelo e di S. Nicola intorno al 1600, in osservanza delle direttive del Concilio di Trento (1545-63), tenuto anche conto che in tale periodo (1610) fu attuata un’operazione simile per le contigue parrocchie di S. Gregorio e di S. Romano in Colle. Nei secoli XV, XVI e XVII la chiesa di S. Angelo fu decorata con numerosi affreschi sia nell’abside sia sulle arcate laterali; ma purtroppo attualmente resta ben poco, se non nella memoria e nella documentazione fotografica, a causa dell’azione demolitrice degli agenti atmosferici, dopo il crollo del tetto. Il vescovo Borgia, i1 22/10/1719, la descrive con le seguenti espresssioni : “ in capacitate sufficiens,tota sub nudo tecto, in tribus vanibus distincta quarum medium maior, alii vero minores; Habet parietes incrustatos et dealbatos, pavimentum lateritium et campanile cum unica campana, cum retro altare adsit quoque locus inserviens pro choro et sacristia; altare unicum vidit sancto Micheli Arcangelo dicatum, in mensa lapide sacro, tegumentis et ornamentis ad congruentiam sub baldachino dispositum; ad dexteram ingressus ecclesiae in angulo vidit sacrum fontem baptismalem cuius aqua lustralis asservatur in catino testaceo, intus pelvim lapideam, teguento piramidali ligneo, clave clauso, coopertam una cum sacris oleis intus vascula argentea ac sacrario contiguo; omnia ad congruentiam” (A.D.N.G., Visite Pastorali, palch. 111, 9, cari. 787-788). Nei secoli più vicini a noi si continuò nell’ordinaria amministrazione fino a qualche decennio fa, quando, per varie ragioni economiche e sociali, la chiesa è andata sempre più deperendo nella struttura. Fortunatamente oggi la chiesa è stata ristrutturata e si presenta in buono stato di conservazione. Fino agli inizi degli anni 70 sui muri della chiesetta erano incastonate due pietre, ciascuna recante scolpita una croce, l’una posta al di sopra della porta d’ingresso e l’altra a chiudere la finestrella di sinistra dell’abside. Queste pietre furono asportate e murate, ai lati della porta della Chiesa di San Giovanni di Boschetto, insieme alla pietra dell’altare, quando sembrava che la chiesa di S. Angelo fosse destinata all’abbandono. Successivamente furono di nuovo riportate nella chiesa attuale dopo che è stata restaurata. Ora si trovano accantonate sul pavimento della chiesa in attesa di una definitiva collocazione. La pietra di colore più grigio, ha chiaramente la forma di chiave di volta di un arco gotico e sulla faccia ha scolpita una croce, mentre sulla seconda pietra di colore bianco, appare un’altra croce di pregevole fattura, e sul retro presenta una classica treccia bizantino – longobarda, il che dimostra una sovrapposizione di culture riconducibili al periodo paleocristiano su una realtà preesistente.