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Rocca Flea

Anticamente nota come Arx Major Terre Gualdi, si erge nella parte alta di Gualdo Tadino, in Umbria. Rappresenta uno degli esempi di architettura fortificata italiana del basso Medioevo. La rocca fu edificata inglobando un antichissimo luogo di culto dedicato a San Michele Arcangelo fondato in epoca longobarda (sec. VIII-IX), chiamato Sant'Angelo di Flea. Le prime testimonianze storiche risalgono al XII secolo. L'edificio, dopo essere stato ricostruito da Federico II di Svevia nel 1242, ha subito vari restauri e rimaneggiamenti più o meno cospicui. Al 1350, durante il periodo della dominazione perugina su Gualdo, risale la costruzione del mastio centrale, il Cassero, e sempre nel XIV secolo furono eseguiti ritocchi da Biordo Michelotti. Nel tempo, la rocca mutò più volte destinazione d'uso: dopo essere stata trasformata in palazzo signorile; agli inizi dell'800 divenne carcere femminile e dal 1888 divenne un carcere mandamentale. Attualmente la Rocca Flea è sede del Museo Civico di Gualdo Tadino, ospita l'antiquarium del territorio e nelle sale sono esposte testimonianze della ceramica storica gualdese

Giglio di Firenze al Castello di Colle

Giglio bottonato o a volte anche Giglio di Firenze è un termine utilizzato in araldica per indicare il giglio sbocciato (fiore dell'iris simile al lilium). Il giglio bottonato ha la «caratteristica prima quella di essere disegnato da cinque petali superiori (tre principali e due stami più sottili e bocciolati) e delle ramificazioni inferiori, tutte disposte in modo simmetrico».Il giglio è oggi usato come simbolo della città Firenze. Lo è stato anche nei tempi remoti ma non ne è conosciuta con certezza l'origine, si può supporre che sia dovuto al fatto che nei dintorni di Firenze cresce numerosa e florida la specie Iris germanica var. florentina (Giglio di Firenze o Giaggiolo bianco). Un'altra teoria vede derivare l'abbinamento della città (Florentia) con il fiore perché la sua fondazione da parte dei romani avvenne nell'anno 59 a.C., durante le celebrazioni romane per l'avvento della primavera, i festeggiamenti in onore alla dea Flora (Ludi Florales o Floralia - giochi e competizioni pubbliche) che si svolgevano dal 28 aprile al 3 maggio. L'associazione tra i festeggiamenti e il nome venne spontanea come accadde successivamente tra il nome e i fiori numerosi che crescevano intorno. Inizialmente il giglio era bianco in campo rosso ma nel XIII secolo i Guelfi scelsero il giglio con i colori invertiti per differenziarsi dai Ghibellini e quando, nel 1251, i primi cacciarono i secondi il simbolo di Firenze divenne quello che conosciamo oggi. Ai tempi della Repubblica di Firenze, il giglio era il simbolo della città, talvolta rappresentato su uno scudo retto dalla zampa di un leone (il cosiddetto marzocco). Secondo alcune fonti il giglio viene usato per esaltare l'ideale di purezza ma ha anche dei risvolti di contrapposizione con il potere antico dei Papi costretti a dissentire spesso con l'autorevole Firenze. A Colle di Nocera Umbra il giglio compare al castello ma persino su interni di un vecchio camino. Giglio bottonato o a volte anche Giglio di Firenze è un termine utilizzato in araldica per indicare il giglio sbocciato (fiore dell'iris simile al lilium). Il giglio bottonato ha la «caratteristica prima quella di essere disegnato da cinque petali superiori (tre principali e due stami più sottili e bocciolati) e delle ramificazioni inferiori, tutte disposte in modo simmetrico».Il giglio è oggi usato come simbolo della città Firenze. Lo è stato anche nei tempi remoti ma non ne è conosciuta con certezza l'origine, si può supporre che sia dovuto al fatto che nei dintorni di Firenze cresce numerosa e florida la specie Iris germanica var. florentina (Giglio di Firenze o Giaggiolo bianco). Un'altra teoria vede derivare l'abbinamento della città (Florentia) con il fiore perché la sua fondazione da parte dei romani avvenne nell'anno 59 a.C., durante le celebrazioni romane per l'avvento della primavera, i festeggiamenti in onore alla dea Flora (Ludi Florales o Floralia - giochi e competizioni pubbliche) che si svolgevano dal 28 aprile al 3 maggio. L'associazione tra i festeggiamenti e il nome venne spontanea come accadde successivamente tra il nome e i fiori numerosi che crescevano intorno. Inizialmente il giglio era bianco in campo rosso ma nel XIII secolo i Guelfi scelsero il giglio con i colori invertiti per differenziarsi dai Ghibellini e quando, nel 1251, i primi cacciarono i secondi il simbolo di Firenze divenne quello che conosciamo oggi. Ai tempi della Repubblica di Firenze, il giglio era il simbolo della città, talvolta rappresentato su uno scudo retto dalla zampa di un leone (il cosiddetto marzocco). Secondo alcune fonti il giglio viene usato per esaltare l'ideale di purezza ma ha anche dei risvolti di contrapposizione con il potere antico dei Papi costretti a dissentire spesso con l'autorevole Firenze. A Colle di Nocera Umbra il giglio compare al castello ma persino su interni di un vecchio camino. E’ il simbolo di Firenze dalla seconda metà del XI secolo, ha accompagnato i fiorentini durante le Crociate, ha cambiato colore in seguito alle lotte tra Guelfi e Ghibellini e sulla sua origine si narrano storie diverse. Se si pensa all’antico nome di Firenze, ovvero Fiorenza, il suo simbolo non poteva che essere un fiore e infatti fu scelto proprio il giglio. Ma come avvenne questa scelta? Una versione sarebbe collegata alla sua fondazione da parte dei romani durante le celebrazioni della primavera e della dea Flora. Il collegamento tra i festeggiamenti e i fiori che crescevano abbondantemente nelle campagne circostanti ovvero gli “iris florentina” o meglio i gigioni fiorentini. Un’altra leggenda sarebbe riconducibile al mito del fondatore della città, Fiorino, un pretore romano, rimasto ucciso durante l’assedio di Fiesole. Ma la versione “più veritiera” è collegata alla grande abbondanza di giaggioli, detti gigli di Firenze, che essendo associati alla purezza e castità vennero riconosciuti come fiori della Madonna. Non è da escludere perciò che l'adozione del giglio sia da ricondurre a una manifestazione del culto mariano risalente forse al IX secolo.

Castello di Colle

Seguiamo come traccia Sante Cioli in Castrum Collis, opera che scava nell' insediamento di Colle di Nocera Umbra dal periodo pre-romano fino ai giorni nostri. Il castello che vediamo oggi é il frutto di numerosi rifacimenti dovuti a restauri, terremoti, assedi, rifacimenti per l'usura e ancora terremoti come se piovesse (ndr questa licenza poetica non c'è nel libro dell' autore). La caratteristica del castello, che ha più di mille anni sulla carta d'identità, come minimo comune denominatore tra l'antico e il moderno consiste nel fatto che é sempre intensamente abitato. Il Castello a Colle é situato, come d'altra parte i criteri militari imponevano, nella parte occidentale della collina, cioé nel punto in cui la collina possiede tre fianchi relativamente ripidi e la porta di accesso é posta nella massima pendenza, ovvero sullato prospiciente della Flaminia con la quale é collegato da una strada lunga 340 metri. Il lato opposto quello che guarda il monte, era il punto più debole del castello a causa del terreno quasi privo di pendenza e all' inconveniente ovviarono, come a Salmaregia e in altri castelli dalle identiche caratteristiche, con un fossato di cui resta tuttora l'impronta nell' avvallamento della piazzetta del paese. Prima del 1959 questa zona era molto più evidente, anno in cui vennero asfaltate le strade di Colle, perché in quella circostanza, nel tentativo di rendere la piazza meno ondulata, nel tratto antistante alla lapide dei caduti, fu fatta una massicciata di una settantina di cm. In aggiunta al fossato provvidero alla difesa di questo lato del Castello con due imponenti torrioni gemelli, uno dei quali tuttora esistente sebbene mascherato dall' intonaco e provvidero ancora con delle torri accessorie poste all' interno del Castello. Il Castello é disposto du 4 lati lineari aventi le seguenti misure: lato che guarda la Flaminia, fornito anche di porta di accesso, metri 40; lato che guarda Nocera Umbra metri 34; lato che guarda il monte metri 34, per un totale di 1360 metri quadrati...

Stele restauro 1661 ingresso Castello

Nella foto stele datata ad indicare un restauro effettuato nel 1661 sulla volta di ingresso del castello. Tornando al nostro castello, diamo un occhiata all' interno che presenta un ampio spazio quadrangolare, ricoperto solo in parte da due costruzioni, una delle quali é il Mastio, ossia una poderosa torre isolata cxon base quadrata tuttora con impreziosita da una splendida volta a botta e da mure originali spesso un metro alla base. Tale spessore é notevolmente inferiore a quello dei fortilizi accessori posti sulla Cupa e a Col Sant' Angelo, i quali hanno uno spessore di un metro e mezzo, poiché la funzione primaria del Mastio era di avvistamento e lo spessore era in relazione all' altezza, alla difesa vera e propria dovevano provvedere le mura di cinta e i torrioni perimetrali. Ogni lato delle mura castellane aveva i suoi torrioni come é testimoniato da alcune imponenti e stupende volte a botte che fanno da soffitto ad alcuni localiquadrangolari posti a piano terra e che ora sono utilizzate come cantine o magazzini. Questi locali ci forniscono anche l'ubicazione e il numero dei torrioni due dei quali erano posti sul lato di guarda il monte, uno sul lato che guarda Gualdo e due sul lato che guarda la Flaminia; anche i lato che guarda Nocera avfrà avuto il suo torrione però attualmente non esistono locali che, come per gli altri due lati possono attestarlo e pensiamo che ciò sia dovuto al fatto che questo lato ebbe notevolirimaneggiamenti, uno dei quali, lo spigolo sud-ovest é ricordato dagli anziani che riferiscono di averlo visto puntellato per lungo tempo finché fu abbattuto e interamente rifatto. Anche il Mastio sebbene originali nelle strutture essenziali, ha subito in epoche passate dei rimaneggiamenti...

Castello di Boschetto

Il castello è completamente crollato e coperto dalla vegetazione, resta ancora visibile un locale voltato a botte con feritoie semi-sommerso dai detriti. Troviamo varie denominazioni del castello a seconda dei periodi storici: Buschectus (1304) – Buschictus (1437) – Buschiptus (1502) – Buschittus (1508) – Boschettus (1535). Il castello, il cui toponimo dal chiaro significato di luogo ricco di vegetazione, è diminutivo di bosco dal latino tardo “buscus”, è ubicato sul crinale di un piccolo colle posto all’imbocco dell’omonima valle. Ai suoi piedi sorge l’attuale frazione Boschetto che si snoda lungo il percorso della strada e del rio Fergia, affluente del torrente Caldognola, che nasce a nord del castello e corre sotto le sue mura ad ovest. Dista dal capoluogo Nocera 10 km in direzione nord. A causa della sua posizione nascosta, è collegato visivamente al solo castello di Montecchio posto ad ovest. Il castello di Boschetto deve la sua nascita alle funzioni di controllo lungo uno dei valichi che portavano alla Marca, con queste finalità fu infatti costruito dai perugini nel 1304. Il tracciato originale di questa strada dovrebbe coincidere con quella attuale per tutto il tratto che dalla via Flaminia sale al castello, qui si divide in due rami, il primo si dirige ad est e il secondo a nord, questo a sua volta oltrepassate le mura del castello si dirama in altre direzioni. Tra le diverse strade che si intersecano tra di loro lungo il valico non è facile poi individuare quella originale. Il rio Fergia muoveva, grazie alla sua abbondante quantità di acqua, diversi mulini. Di questi si hanno notizie nei rogiti notarili del sec. XV. Uno di essi era fino a pochi anni fa ancora funzionante dopo la sua trasformazione in macina per la polvere di pietra. Tracce di altri due si notano lungo il corso del torrente che aveva una certa importanza se gli statuti comunali nocerini del 1371 gli dedicano un capitolo. La posizione all’imbocco di un valico e poco distante dalla via Flaminia, doveva fare di Boschetto un centro con un discreto movimento commerciale, tanto che nel 1508 gli uomini dell’università del “castrum” chiedono di istituire una fiera: ” Die XXI Junii 1508. (…) supplicatio universitatis castri Buschitti (…) habere nundinas apud dictum castrum ad augumentatione dicti castri (…) concedere eis licentiam (…) congregare nundinas liberas et exemtes ab omni gabella et solutione (…) “. La richiesta venne accolta favorevolmente e la fiera continuò a svolgersi malgrado una supplica in senso contrario fosse rivolta per far si che essa cessasse l’anno successivo. Boschetto si trova al confine nord del comune e gli abitanti del castello e del suo distretto hanno sempre posseduto terreni in territorio di Gualdo Tadino. Il passaggio delle derrate con i relativi pedaggi sono state causa di continue liti che si sono susseguite per lunghissimi anni tra quel comune e quello di Nocera. Il Guerrieri nella sua storia di Gualdo Tadino riporta notizie di queste liti dal sec. XV fino al sec. XVIII. L’autore dedica molte pagine a queste vicende, seguendo il loro svolgersi nel periodo indicato. Può essere interessante riportarne un brano: ”Sul finire del 1479, gravi contrasti sorgono infatti tra nocerini e gualdesi per questioni di confine e specialmente perché i gualdesi impedivano agli abitanti del territorio nocerino confinante con essi, cioè Gaifana e Boschetto, di trasportare alle proprie case i prodotti agricoli di quei terreni che gaifanesi e boschettani, possedevano al di là del loro confine, cioè in territorio di Gualdo. Tra i due comuni si interpose il Legato di Perugia e del Ducato di Spoleto, card. Gio.Battista Savelli, che nei primi giorni del gennaio 1480, ordinò loro di eleggere ciascuno due cittadini i quali, unitamente ai rispettivi podestà, avessero pieni poteri per comporre la difficile vertenza. (…) si fissavano anzitutto, medianti termini esatti, i rispettivi confini territoriali; si stabiliva poi che così i gualdesi come i nocerini, avrebbero potuto promiscuamente esercitare il diritto di pascolo e di far legna senza pagare balzelli, su una limitata zona del territorio sia di Gualdo che di Nocera, posta ai due lati di questo confine, salvi però i beni privati. Come eccezione i nocerini avrebbero potuto far pascolare i propri armenti, nelle praterie che i privati cittadini di Nocera possedevano nel territorio di Gualdo (…). Nelle strade attraversanti il confine, nocerini e gualdesi si riservavano il diritto d’imporre tasse di pedaggio e balzelli, sui passeggeri e le merci, solo ne dovevano andare esenti i gualdesi che penetravano nel territorio di Nocera e i nocerini che passavano in quello di Gualdo (…). Ai nocerini che possedevano terreni al di là del confine, nel territorio di Gualdo, sarebbe stato lecito asportare liberamente il fruttato nel territorio di Nocera e lo stesso avrebbero potuto fare i gualdesi possessori di beni nel comune nocerino (…). Le condanne pronunziate e i processi intervenuti tra le due popolazioni, in seguito alla questione dei confini territoriali, venivano annullati con una generale amnistia. I suddetti patti si giuravano sul vangelo e si prescriveva ai contravventori la multa di mille ducati d’oro (…)”. Le rovine del castello attualmente sono completamente coperte dal bosco e la fitta vegetazione impedisce capire le effettiva dimensioni della struttura, un aiuto fondamentale comunque è dato dalla carta pontificia in cui il “castrum” appare in tutta la sua estensione che è veramente notevole. Boschetto rappresenta un caso anomalo rispetto a tutti gli altri castelli del territorio nocerino, infatti per la sua costruzione ex novo si è scelto, malgrado le difficoltà causate dal terreno, uno schema ortogonale che lo distingue da tutti gli altri nei quali invece sia le mura che le costruzioni interne assumono un andamento tondeggiante od ellissoidale che sfrutta le linee di livello. Il castello di forma rettangolare, con un perimetro di circa 200 metri, presenta agli angoli quattro torri, due più piccole ad ovest e a nord e due più grandi a sud e ad est. Le prime sono rettangolari e di misura diversa tra loro, quella a ovest è lambita dalla strada e quella a nord è posta più in alto dato il dislivello del crinale dove sorge il castello. Le altre due sempre di pianta rettangolare presentano una rientranza a spigolo su uno degli angoli. Anche queste sono di grandezza diversa e poste a diversi livelli. Attualmente sono visibili resti delle torri sud ed ovest. Altri ruderi appartengono alle mura ovest ed est. Tutto il colle è poi pieno di detriti e buche profonde in cui si intravedono archi ed altri particolari. I resti più consistenti appartengono a quella che probabilmente era la porta del castello sporgente tra le torri sud ed est. Malgrado sulla carta non sia segnata nessuna strada di accesso, nella boscaglia è ancora visibile un camminamento. Si doveva trattare di una doppia porta come testimoniato anche in un atto notarile del 1505 rogato appunto tra le due porte del castello. I ruderi visibili sono lunghi alcuni metri ed attraverso alcune brecce nel muro si vedono una grande stanza con volta a botte e tre feritoie molto rovinate. Altro non si può dire se non che, in corrispondenza del punto più alto del colle, un grosso cumulo di macerie può far pensare alla presenza di una torre visto che da questa parte l’altura è meno ripida e sovrastata dalla collina prospiciente. In questa zona è anche evidente la presenza di un fossato, ora parzialmente ricolmo, che separava la strada dalle mura. Sempre qui, sulla carta pontificia, sporge un aggetto che va probabilmente identificato come un ulteriore elemento di difesa sul lato più vulnerabile. Solo uno scavo archeologico potrebbe rilevare le strutture interne del castello che sicuramente è uno dei più interessanti del territorio proprio per quelle caratteristiche di originalità che lo distinguono dagli altri. Nel luogo si trova una lapide a ricordare due partigiani nocerini li fucilati nell’aprile del 1944.

Castello di Fossato di Vico

Fossato è un castello situato nella zona nord-orientale della regione al confine tra Umbria e Marche all’interno del Parco del Monte Cucco. E’ uno di quei Borghi dove ancora si respira un’aria medievale passeggiando fra i sui vicoli coperti da caratteristiche arcate (Le Rughe). più antichi reperti archeologici che testimoniano la presenza umana in epoca Italica rinvenuti in territorio fossatano sono costituiti da manufatti bronzei che risalgono al VI sec. a.C. e provengono tutti dalla montagna, dagli Appennini, testimonianza che la vita allora si svolgeva lassù, dove tra l’altro, favoriti dalla situazione orografica, si incontravano gli Italici dei due opposti versanti, i popoli pastorali e transumanti della cosiddetta “facies appenninica”. Nel Trecento, cioè circa due millenni dopo, quella che è oggi cima Aiale (campum crescionis nel Medioevo) e divide i territori di Fossato e Fabriano, nonche l’Umbria dalle Marche, è definita in una pergamena luogo “ubi consueti per antiqua tempora fieri iustitia” cioè luogo ove fu solito nei tempi antichi amministrare la giustizia. Dunque uno dei pochi punti della lunga catena appenninica nel quale Umbri e Piceni e tanti altri popoli degli opposti versanti appenninici s’incontravano, scambiavano prodotti, stipulavano patti sotto la garanzia di qualche divinità. Questo accadeva in epoca pre-romana, in quanto in epoca romana la giustizia viene amministrata ad Helvillum, corrispondente all’attuale Borgo o via F. Venturi, cioè in paese. Helvillum quindi è la Fossato di epoca romana, importante per la sua posizione sulla via consolare Flaminia e la ritroviamo in tutti e quattro gli Itineraria pervenutici dalla romanità, cioè nell’ordine il Gaditano (o vasi di Vicarello), l’Antonino, il Gerosolimitano o Bordigalense, la Tabula Peutingeriana. Per l’Antonino ( II sec. d. C.) era un vicus aggiungendo che era un “diverticulum ab Helvillo – Anconam”, mentre per l’Itineraria Gerosolimitano (prima metà del IV sec. d.C.), era l’unica mansio tra Fano e Roma. Era dunque un insediamento transitatissimo e con servizi idonei al traffico che vi si svolgeva sulla principale arteria centro-italiana a 124 miglia da Roma che scavalcava gli Appennini nel punto più facile di tutto il nord-est umbro. A sottolineare ulteriormente l’imponenza di Helvillum basti aggiungere che le località lungo la Flaminia oggi limitrofe di Fossato, negli Itineraria o non compaiono mai, come nel caso di Sigillo e Costacciaro, o compaiono solo una volta, come nel caso di Gualdo, definita Ptanias nel Gerosolimitano. Il territorio fossatano è perciò ricco di testimonianze dell’epoca romana, ma tra esse spicca il rinvenimento di un tempio del II secolo a.C. alla dea Cupra venuto alla luce nel 1868 al Borgo in voc. Aia della Croce e ricco anche di quella lamina con la scritta in lingua umbra e caratteri latini ora al Museo Archeologico di Perugia. Helvillum presumibilmente scompare durante la lunga guerra goto-bizantina, conclusasi proprio in questa area nel 552 d.C. nella la Battaglia di Tagina nella quale trovò la morte lo stesso re dei Goti Badwila, chiamato anche Totila,con la vittoria dei Bizantini i quali sono i presumibili fondatori del castello di Fossato, quella Rocca alto-medievale di cui sul vertice del colle (m 581 slm) resta il rudere chiamato Raccaccia, utile ad accogliere i sopravvissuti, ma soprattutto a fungere da guardia alla Flaminia, come rivela lo stesso termine greco (la lingua dei Bizantini) di “Fossaton”, significante fortificazione in altura.

Castello di Lanciano

La panoramica che si gode dal castello è unica specialmente con i colori dell’autunno che colorano le collina sottostanti. Lantianum (1333) – Lancianum (1334), il toponimo sembra quasi certamente di origine prediale derivante dall’antroponimo “Lantius”. L’attuale frazione Lanciano più che un castello vero e proprio sembra essere un agglomerato di costruzioni sorte intorno ad una torre. L’ubicazione originaria va invece cercata circa mezzo chilometro più ad ovest. Qui sulla cima di un colle sorgeva il “Castiello basso” così chiamato dagli abitanti del luogo per distinguerlo dal “Castiello alto” posto ancora più ad ovest su di un altro colle. Non esistendo documentazione comprovante bisogna andare per ipotesi, la più probabile sembra proprio quella che vede il “Castiello basso” come insediamento originale, grazie anche alla sua maggiore estensione rispetto all’altro, il quale poteva essere una semplice torre, un punto di osservazione e di difesa sul lato più vulnerabile del castello. In ogni caso la maggiore altezza del “Castiello alto” che gli permetteva di controllare e dominare una porzione di territorio più grande e le migliori possibilità di difesa potrebbero viceversa far posizionare là l’insediamento originale magari poi abbandonato, anche se non del tutto, a favore del “Castiello basso”. La contemporaneità dei due insediamenti è una supposizione basata sulla tipologia molto simile, in alcuni casi identica, a quella degli altri castelli del periodo nel territorio (Postignano, Serpigliano, Salmaregia, ecc.). Una volta poi che per qualche motivo i due “Castielli” furono abbandonati, con ogni probabilità, la popolazione si trasferì sul luogo dove forse sorgeva già una semplice torre, l’odierna Lanciano, in seguito ampliata. La distanza dell’attuale frazione Lanciano (m 676 metri s.l.m.), dal capoluogo Nocera, è di circa 12 km in direzione nord-ovest. Il “Castiello basso” (m 700 circa s.l.m.) si trova a circa 500 metri in linea d’aria ad ovest di Lanciano e il “Castiello alto” (816 metri s.l.m.) a 250 metri a nord-ovest del “Castiello basso”. I tre insediamenti sono in collegamento visivo diretto tra loro, con il castello di Serpigliano a sud, con quello di Pertana e, più lontano, con quello di Poggio ad est, con Colle a nord-est, con Maccantone a nord e con Montecchio a nord-ovest. L’odierna Lanciano è collegato alla via Flaminia, alle strade per Assisi e Perugia e agli insediamenti circostanti da un fitto reticolo viario di difficile interpretazione cronologica. Da Lanciano si sale ai due “Castielli” attraverso una strada sterrata che verso la fine diventa sentiero.