Messina - 1908-12-28

7 grado - deep km: - tra le 90 / 120 000 vittime vittime

Il terremoto di Messina del 1908 (citato anche come terremoto della Calabria meridionale-Messina o terremoto calabro-siculo) è considerato uno degli eventi più catastrofici del XX secolo. Il sisma, che si verificò alle ore 5:21:42 (ora locale) del 28 dicembre 1908 danneggiò gravemente le città di Messina e Reggio nell'arco di 37 secondi. Metà della popolazione della città siciliana e un terzo di quella della città calabrese perse la vita. Si tratta della più grave catastrofe naturale in Europa per numero di vittime, a memoria d'uomo, e del disastro naturale di maggiori dimensioni che abbia colpito il territorio italiano in tempi storici. La notte i sismografi registrarono il verificarsi di un terremoto di grande magnitudo. Il sisma risultò inquadrabile settorialmente in una zona ubicata in Italia. Nessuna più precisa informazione al riguardo è tuttavia disponibile, solo rimangono le tracce marcate dai pennini sui tabulati degli osservatori sismici che gli studiosi cominciarono velocemente ad analizzare e interpretare. I telegrafi infatti cominciarono a ticchettare, i tecnici rimasero allora in attesa di ottenere e scambiare notizie. Ancora prima di ottenere una qualsivoglia comunicazione ufficiale, molte nazioni del mondo e l'Italia stessa furono informate attraverso la strumentazione scientifica. I sismografi misero in evidenza solo la grande intensità delle scosse senza consentire agli specialisti di individuare con certezza la specifica localizzazione. Si potevano solo immaginare i danni provocati da un sisma di quella intensità. Gli addetti all'osservatorio Ximeniano di Firenze annotarono: « Stamani alle 5:21 negli strumenti dell'Osservatorio è incominciata una impressionante, straordinaria registrazione: “Le ampiezze dei tracciati sono state così grandi che non sono entrate nei cilindri: misurano oltre 40 centimetri. Da qualche parte sta succedendo qualcosa di grave. » . Il terremoto ha colpito, con diverse intensità, la Calabria e la Sicilia: l'epicentro è stato registrato nello stretto di Messina con una box sismogenetica attestantesi nelle città di Messina e Reggio Calabria, dove l'intensità MCS è stata pari o superiore a 10. I territori delle attuali province di Reggio Calabria, di Vibo Valentia, la parte est della provincia di Messina e la parte nord della provincia di Catania sono stati interessati da scosse di intensità MCS pari o superiore a 8; con intensità MCS inferiori a 4 il terremoto è stato registrato anche nella Sicilia occidentale, in Campania, Basilicata e Puglia. L'area dell'epicentro è una zona a elevata sismicità; risulta infatti colpita da almeno 8 eventi sismici di magnitudo pari o superiore a 6 in epoca storica. La particolare criticità dell'area è determinata dal fatto che è sede di numerosi centri abitati tra cui due di grandi dimensioni: Messina (147.589 abitanti nel 1901), città portuale della Sicilia, di antichissima origine, è situata sulla costa occidentale dell'omonimo stretto e dista circa 3 km dalla sponda calabrese, fu interessata anche dal terremoto del 1783 che distrusse gran parte della città. Reggio Calabria (77.761 abitanti nel 1901), anch'essa di origini remote e importante in periodo greco e altomedievale, rimase pressoché distrutta dal terremoto del 1783 che determinò la successiva riedificazione di molti dei suoi quartieri secondo un nuovo piano regolatore e con criteri innovativi, che persistono tuttora. Lunedì 28 dicembre 1908 un terremoto di 7,2 Mw[3] (XI Mercalli) si abbatté violentemente sullo Stretto, colpendo Messina e Reggio in tarda nottata (5:20 ora locale circa). Uno dei più potenti sismi della storia italiana aveva quindi colto la regione nel sonno, interrotto tutte le vie di comunicazione (strade, ferrovie per Palermo e Siracusa, tranvie per Giampilieri e Barcellona, telegrafo, telefono), danneggiato i cavi elettrici e le tubazioni del gas, e sospeso così l'illuminazione stradale fino a Villa San Giovanni e a Palmi. Con lo strascico di un maremoto, l'evento devastò particolarmente Messina, causando il crollo del 90% degli edifici. Una recente tesi sostiene che in realtà il maremoto successivo al terremoto sia stato causato da una frana sottomarina e non direttamente dal sisma, frana da posizionarsi, sempre secondo gli stessi studi, tra lo specchio d'acqua di fronte a Giardini Naxos e quello prospiciente il quartiere "Pozzo Lazzaro" di Santa Teresa di Riva. La relazione al Senato del Regno – datata 1909 – sul terremoto di Messina e Reggio: «Un attimo della potenza degli elementi ha flagellato due nobilissime province – nobilissime e care – abbattendo molti secoli di opere e di civiltà. Non è soltanto una sventura della gente italiana; è una sventura della umanità, sicché il grido pietoso scoppiava al di qua e al di là delle Alpi e dei mari, fondendo e confondendo, in una gara di sacrificio e di fratellanza, ogni persona, ogni classe, ogni nazionalità. È la pietà dei vivi che tenta la rivincita dell'umanità sulle violenze della terra. Forse non è ancor completo, nei nostri intelletti, il terribile quadro, né preciso il concetto della grande sventura, né ancor siamo in grado di misurare le proporzioni dell'abisso, dal cui fondo spaventoso vogliamo risorgere. Sappiamo che il danno è immenso, e che grandi e immediate provvidenze sono necessarie». I siciliani e i calabresi vennero immediatamente soccorsi, martedì 29, da navi russe e britanniche che erano alla fonda a Siracusa e ad Augusta, mentre gli aiuti italiani arrivarono poco dopo, nella mattinata del 29 dicembre. Il ritardo fu causato dal fatto che i piroscafi partirono da Napoli, e in tarda serata, subito dopo che le reali notizie sulla catastrofe arrivarono al Governo. Il futuro premio Nobel per la letteratura Salvatore Quasimodo (che all'epoca aveva 7 anni) si trasferì a Messina tre giorni dopo il terremoto, perché il padre capostazione fu chiamato a dirigere il traffico ferroviario lì. Per mesi visse su due vagoni merci, e successivamente rievocò l'esperienza nella poesia Al Padre. Tra le prime squadre di soccorso che giunsero a Reggio vi fu quella proveniente da Cosenza, guidata dall'esponente socialista Pietro Mancini (padre di Giacomo) che dichiarò: « Le descrizioni dei giornali di Reggio e dintorni sono al di sotto del vero. Nessuna parola, la più esagerata, può darvene l'idea. Bisogna avere visto. Immaginate tutto ciò che vi può essere di più triste, di più desolante. Immaginate una città abbattuta totalmente, degli inebetiti per le vie, dei cadaveri in putrefazione ad ogni angolo di via, e voi avrete un'idea approssimativa di che cos'è Reggio, la bella città che fu. » E ancora i giornali scrissero: « Oramai non v'è dubbio che, se a Reggio fossero giunti pronti i soccorsi, a quest'ora non si sarebbero dovute deplorare tante vittime. Si è assodato che Reggio rimase per due giorni in quasi completo abbandono. I primi ad accorrere il giorno 28 in suo soccorso vennero a piedi da Lazzaro – insieme al generale Mazzitelli e a poche centinaia di soldati: furono i dottori Annetta e Bellizzi in unione ai componenti la squadra agricola operaia di Cirò, forte di 150 uomini accompagnati dall'avv. Berardelli di Cosenza. Questa squadra ebbe contegno mirabile e diede aiuto alle migliaia di feriti giacenti presso la stazione. Gli stessi operai provvidero allo sgombero della linea ferroviaria favorendo la riattivazione delle comunicazioni ferroviarie. Appena giunti furono circondati da una turba di affamati e il pane da essi portato veniva loro strappato letteralmente dalle mani. Sicché essi dovettero patire la fame fino al giorno 30 quando cominciò l'arrivo delle navi. ». A Messina, maggiormente sinistrata, rimasero sotto le macerie ricchi e poveri, autorità civili e militari: morirono il questore Paolo Caruso, il generale Cotta e il procuratore generale dott. Crescenzo Grillo, l'ex rettore dell'Università Giacomo Macrì, tre deputati (gli onorevoli Giuseppe Arigò, Nicolò Fulci (già ministro) e Giuseppe Orioles); perirono altresì più della metà dei componenti del consiglio comunale. Quasi completamente annientata la presenza delle forze dell'ordine, assieme al questore Caruso morirono più di tre quarti degli agenti di polizia; dalla caserma della Guardia di Finanza, su 200 finanzieri, ne uscirono vivi solo 41. Nella stazione ferroviaria, di 280 tra gli impiegati alle officine e il personale viaggiante solo in otto risposero all'appello. Dal totale crollo del cinquecentesco Ospedale Civico, su circa 200 tra pazienti, medici e infermieri, vi furono solo 11 superstiti. Gaetano Salvemini, dal 1901 professore di storia contemporanea presso l'Ateneo messinese, perse la moglie, i cinque figli e la sorella, rimanendo l'unico sopravvissuto di tutta la sua famiglia. Il prefetto Adriano Trinchieri (1850-1936) venne ritrovato miracolosamente illeso tra le macerie del palazzo della prefettura, illeso rimase anche l'arcivescovo Letterio D'Arrigo Ramondini, fratello del sindaco Gaetano D'Arrigo Ramondini che, rimasto anch'egli incolume, fuggì dalla città, rendendosi irreperibile per almeno un giorno. Nella nuvola di polvere che oscurò il cielo, sotto una pioggia torrenziale e al buio, i sopravvissuti inebetiti dalla sventura e semivestiti non riuscirono a rendersi conto immediatamente dell'accaduto. Alcuni si diressero verso il mare, altri rimasero nei pressi delle loro abitazioni nel tentativo di portare soccorso a familiari e amici. Qui furono colti dalle esplosioni e dagli incendi causati dal gas che si sprigionò dalle tubazioni interrotte. Tra voragini e montagne di macerie gli incendi si estesero, andarono in fiamme case, edifici e palazzi ubicati nella zona di via Cavour, via Cardines, via della Riviera, corso dei Mille, via Monastero Sant'Agostino. Ai danni provocati dalle scosse sismiche e a quello degli incendi si aggiunsero quelli cagionati dal maremoto, di impressionante violenza, che si riversò sulle zone costiere di tutto lo Stretto di Messina con ondate devastanti stimate, a seconda delle località della costa orientale della Sicilia, da 6 m a 12 m di altezza (13 metri a Pellaro, frazione di Reggio). Il maremoto provocò molte vittime, fra i sopravvissuti che si erano ammassati sulla riva del mare, alla ricerca di un'ingannevole protezione. Improvvisamente le acque si ritirarono e dopo pochi minuti almeno tre grandi ondate aggiunsero altra distruzione e morte. Onde gigantesche raggiunsero il litorale spazzando e schiantando quanto esistente. Nel suo ritirarsi la marea risucchiò barche, cadaveri e feriti. Molte persone, uscite incolumi da crolli e incendi, affogarono trascinate al largo. Alcune navi alla fonda furono danneggiate, altre riuscirono a mantenere gli ormeggi entrando in collisione l'una con l'altra, ma subendo danni limitati. Il villaggio del Faro a pochi chilometri da Messina andò quasi integralmente distrutto. La furia delle onde spazzò via le case situate nelle vicinanze della spiaggia anche in altre zone. Le località più duramente colpite furono Pellaro, Lazzaro e Gallico sulle coste calabresi; Briga e Paradiso, Sant'Alessio e fino a Riposto su quelle siciliane. A Reggio andarono distrutti diversi edifici pubblici. Caserme e ospedali subirono gravi danni: 600 le vittime del 22º fanteria dislocate nella caserma Mezzacapo; all'Ospedale Civile su 230 malati ricoverati se ne salvarono solo 29. A Palmi la scossa fu altrettanto rovinosa, causando circa 700 morti e un migliaio di feriti. Il centro abitato era composto da 2221 case (molte delle quali con pessimi sistemi di costruzione) delle quali 445 crollarono, 1189 restarono gravemente danneggiate e in 387 si ebbero danni lievi. Andarono distrutte inoltre la chiesa di San Rocco, il Duomo e diversi edifici pubblici. A Polistena il tragico evento fece registrare 6 morti, 30 feriti, e moltissimi edifici danneggiati e anche completamente distrutti; su 2.257 case che componevano la località 52 crollarono, 53 risultarono gravemente lesionate e in 204 si registrarono lievi danni.Tra le chiese, i danni maggiori si ebbero alla Chiesa della Trinità con il crollo del tetto, alla Chiesa dell'Immacolata con il crollo parziale della facciata, e al Duomo di Santa Marina Vergine che, a causa degli ingenti danni subiti nell'intero edificio, fu sul punto di venire abbattuto per poi invece essere sottoposto a un radicale restauro molti anni dopo. Anche nei pressi di Catanzaro, in particolare a Tiriolo, si ebbero molti danni ma pochi decessi, data la modesta dimensione delle abitazioni. In Sicilia si ebbero crolli anche a Maletto, Belpasso, Mineo, San Giovanni di Giarre, Riposto e Noto. A Casalvecchio Siculo cadde parte della seicentesca Chiesa Matrice; a Savoca crollò la sede municipale, un palazzo trecentesco chiamato altresì Curia. A Santa Teresa di Riva crollò il campanile della chiesa del Carmine. A Caltagirone crollò per metà il quartiere militare. Nel comprensorio jonico siciliano, si tramandano ancor oggi alcuni aneddoti storici legati al terremoto, molti di essi tramandati quasi esclusivamente per via orale endo-familiare. Proprio a Sant'Alessio Siculo si narra di una barca trasportata dalla drammatica ondata dalla spiaggia fino all'entroterra di Giampilieri; nell'abitato di Locadi, oggi minuscola frazione di Pagliara, il vecchio borgo fu interamente interessato da crolli e lesioni, tanto che di colpo l'intera popolazione riparò nella spianata soprastante (oggi zona Polifunzionale), per poi riedificare ex novo il borgo più a ovest. A Santa Teresa di Riva la toccante testimonianza dei primi a svegliarsi e a correre in spiaggia subito dopo il maremoto, letteralmente montagne di cicirelli sulla battigia (pesciolino commestibile siluriforme, di circa 10 cm.) impedivano la vista dell'antistante costa calabra. Nei mesi successivi, sempre a Santa Teresa di Riva, alcune batterie di baracche furono allestite dove oggi sorge il quartiere di Torrevarata. Drammatico fu il problema del mantenimento dell'ordine pubblico già subito dopo la scossa; ad esempio una banda di detenuti evasi, scampata al crollo delle carceri giudiziarie, prese di mira le rovine della Banca d'Italia e del Palazzo dei Tribunali allo scopo di penetrare nel caveau della prima e di bruciare l'archivio del secondo. La colossale domanda di manovalanza nelle settimane e mesi immediatamente successivi, coinvolse alcuni operai che dalla provincia si recavano quotidianamente nella Messina da ricostruire, senza volontà o capacità operativa alcuna, ma con la macabra determinazione di recuperare monili, denti d'oro e quant'altro potesse emergere dalle macerie ancora zeppe di cadaveri. Messina, che all'epoca contava circa 140.000 abitanti, ne perse circa 80.000 e Reggio Calabria registrò circa 15.000 morti su una popolazione di 45.000 abitanti. Secondo altre stime si raggiunse la cifra di 120.000 vittime, 80.000 in Sicilia e 40.000 in Calabria. Altissimo fu il numero dei feriti e catastrofici furono i danni materiali. Le scosse di assestamento si ripeterono con frequenza nelle giornate successive e fin quasi alla fine del mese di marzo 1909.